Il monte Viglio per il sentiero che sale al Crestone

Quella linea rocciosa che si perde nel bosco, corteggiata a lungo e finalmente vissuta.


Quella cresta rocciosa mi aveva incuriosito fin dalle prime salite, dalla vetta del Viglio, volgendo lo sguardo verso Ovest quella bella dorsale di roccia che si perde nel fitto bosco sottostante sapeva tanto di una bella linea di salita e prima o poi sarei andato a cercarla. Più poi che prima a dire il vero, dopo tanti anni il suo momento è arrivato solo oggi, altre salite alla montagna dei Cantari si sono succedute, tutte dal Valico di S.Antonio, una, e c’era Marina con me, in cui deviando dalla fonte della Moscosa volevo raggiungere la cresta di oggi, la ricordo come una escursione da tregenda, volevo attraversare tutta la valle alle falde delle parteti del Viglio per raccordarmi sul crestone di oggi ma dopo aver perso il sentiero ed essermi arreso abbiamo dovuto affrontare i pratoni ripidissimi fino alla dorsale dei Cantari. Come si dice in questi casi … un “culo” pazzesco! In quella occasione Marina ha forse realizzato che uscire in montagna con me poteva voler dire anche di mettere in preventivo qualche faticaccia imprevista. Eravamo insieme anche oggi, forse l’ha accettato. Stavolta ci siamo partiti da casa, l’obiettivo era attaccare quella cresta per salire al Viglio, ci siamo studiati bene la carta e per togliere un po’ di metri al dislivello abbiamo optato per il secondo sentiero dopo il paese di Filettino, avremmo percorso il n° 696B che inizia da quota 1200 circa. Un primo sentiero, il 694B, parte subito dopo le ultime abitazioni del paese ma aumenta di circa 200 mt il dislivello da superare. Poco meno di 2 chilometri dopo il paese, al secondo tornante che si incontra, sulla destra in un ampio spiazzo erboso una bella palina con diversi cartelli con precise indicazioni sentieristiche è il nostro punto di partenza, facile da individuare, così facile che se non era per Marina lo avevo mancato. A parte lo scherzo è davvero molto facile da individuare, la quota è circa 1200 mt, mi son lasciato fregare dalla linea della strada tracciata sulla carta e dai curvoni che mi ero raffigurato diversamente, è poco prima del secondo tornante dopo il paese. Grazie Marina quindi. Il sentiero è subito molto evidente, si addentra nel bosco ma si perde immediatamente dopo, quando attraversa un’ampia radura composta da svariate terrazze erbose; qualche segnale sulle rocce a terra, tracce di calpestio ma alla seconda o terza terrazza ci si perde un po’, non c’è traccia di sentiero. L’esperienza aiuta e comunque, per chi sarà su questi passi, segnalo che dopo le prime due terrazze erbose si deve tendere verso destra fino a raggiungere dei grossi faggi che rispetto alla linea del bosco sono un po’ più bassi di quota. Avvicinandosi tutto ritorna ben visibile, bandierine sugli alberi, cartelli e la traccia a terra di facile lettura. Si traversa per un breve tratto, poi si volge a sinistra verso la montagna costeggiando una linea di faggi al limitare del bosco e da lì in avanti, siamo a quota 1300 circa, non ci sarà più tregua, costantemente nel bosco si prende a salire con vari cambi di pendenza, alcuni anche molto irti, per fortuna il sentiero è sempre molto ben segnalato con le bandierine del CAI poste alla giusta altezza sugli alberi. Gran bel lavoro la tracciatura dei sentieri da queste parti. Qualche cartello indica la direzione per il Crestone, non sapevo si chiamasse così quella linea che mi aveva affascinato tanto. Nel fitto del bosco, le condizioni meteo, che alla partenza non destavano preoccupazione e lasciavano presagire una bella giornata, sono cambiate repentinamente; ben presto ci siamo trovati dentro una nebbia fitta, a tratti plumbea, tra la copertura del fogliame e la nebbia si era rifatto notte. Molto suggestivo il bosco in questa dimensione, il silenzio assoluto data la mancanza di vento aumentava il fascino, forse le nuvole da queste parti sono spesso di casa, chi ha tracciato il sentiero lo deve sapere, tanto sono ravvicinati i segnali sugli alberi. La situazione ideale per viversi l’introspezione del bosco sotto una cupa tenda grigia e senza la preoccupazione di potersi perdere, Il sentiero è comunque evidente, a tratti intuitivo, forma quasi delle corsie nel bosco, sempre ben segnalato; si sale senza problemi se non fosse per la pendenza che in certi momenti, con fondo bagnato, ci fa rallentare. La nebbia lentamente si dirada, intorno ai 1500 mt incontriamo una palina coi segnavia, incrocio di tanti sentieri, inizia a filtrare un po’ di sole, debole, tenue, ma quello che basta per dare vita alle foglie nuove e colorare l’aria di verde sfavillante. Dalla partenza all’uscita del bosco sono quasi 500 mt. di dislivello, i boschi diventano spesso noiosi ma non è stato così stavolta, la ripidità della dorsale ha accorciato la distanza e nel giro di meno di due ore siamo usciti intorno a quota 1800mt, qualcosa meno. La volta verde è stata sostituita da una buia e grigia; sulla dorsale fuori dal bosco, il primo tratto è ancora erboso, le nuvole erano basse e dense, la visuale molto breve e scura, Allo scoperto ci hanno aggredito folate di vento umido che ci hanno fatto raggelare, il sentiero rimaneva ben marcato e segnalato non rimaneva che seguirlo e sperare, perché della vetta del Viglio, che sapevamo essere lì sopra sulla sinistra, nemmeno “l’ombra”. I nuvoloni col vento mutavano di consistenza e spessore, tutte le tonalità del grigio erano espresse negli orizzonti, mi volto per cercare Marina dietro di me e scorgo un spiraglio dove appare sfocato come in un sogno Filettino, eterei momenti che sfuggono un attimo dopo, attimi impagabili; non tutto viene per nuocere e … chissà che la giornata non ci stesse preparando una bella sorpresa! Col senno del poi è facile ammetterlo ma sia io che Marina eravamo convinti che più su e più tardi qualcosa di speciale lo avremmo vissuto. Salendo al limite di spesse lingue di neve che si buttano nella valle di Monna Lunga alla nostra sinistra, da sopra verremo a scoprire che erano solo sottilissimi accumuli, rimpiangiamo il panorama che ci stiamo perdendo, dalle poche aperture che ogni tanto fanno percepire l’intorno capiamo che stiamo salendo per una linea panoramica e meravigliosa, continuavamo a sperare nel dopo. Saliamo un grosso sperone, un roccione sporgente e verticale che si fa apprezzare per la bella parete che precipita a valle, sopra la linea di salita si attenua un po’, tutto ci è proibito in alto, la visibilità è nulla, si continua a salire al buio. Quando la cresta si allarga e si confonde con la pagina del monte che scende sulla destra, verso la valle della Monna Lunga che aggetta su Filettino, gli spiragli che di tanto in tanto lasciavano trapelare un barlume di orizzonte, si fanno più profondi e più veloci nell’aprirsi e nel chiudersi; tra un mulinare di nuvole, uno sfilacciamento confuso di grigi, a sinistra di una muro scuro impenetrabile di nebbia che termina verticale sulla linea di cresta che sale dagli Ernici, si apre un tunnel luminoso che si ammanta del verde dei boschi del versante opposto e dei profili merlettati degli ultimi canaloni nevosi che insistono ancora sugli Ernici. Velocemente, quasi non abbiamo il tempo di stupircene, una finestra limpida ci consegna un orizzonte di magnifica bellezza, In una cornice di grigi e l’azzurro del cielo sopra, il Crepacuore e tutte le montagne intorno a Campo Catino appaiono quasi all’improvviso, è uno spettacolo inatteso e incomparabile, di una mutevolezza continua, per questo ogni attimo era diverso dal precedente e per questo più bello. Eravamo confidenti e le speranze sono state ripagate; da quel momento in poi siamo rimasti all’interno di una mutevolezza continua, il meteo tendendo alla stabilità, ci dava la sicurezza di aver davanti qualche momento di montagna entusiasmante. Ormai a vista, raggiungiamo la cresta e prendiamo il sentiero che viene dal valico di Femmina Morta, superiamo uno spigolo roccioso dove si aprono, sempre confusi nei grossi e bianchi cumuli nuvolosi, i fitti boschi che scendono verso Zompo lo Schioppo. Seguiamo la linea diritta del sentiero che ha scavalcato lo spigolo roccioso e che fila ora sull’ampia e piatta cresta verso la vetta, le nuvole ritornano e spariscono un attimo dopo, scenari diversi si aprono, da dove siamo ora, manca meno di un chilometro alla vetta del Viglio, la cresta, anzi il Crestone dove siamo saliti assume quella forma e quella linea che mi aveva tanto affascinato durante le prime salite, sotto e dietro, in lontananza, c’è Filettino, con le sue geometrie urbane in bellissima e affascinante posizione. Una cartolina. Superata una piccola gobba si staglia sul fondo la croce del Viglio, la dolina sotto la vetta è parzialmente coperta di neve, un grosso strato, lascia libera di un soffio una delle colonnine che facevano parte dei cippi di confine tra stato borbonico e stato della chiesa, tra le più belle e meno rovinate dal tempo che sono ancora in giro, Raggiungiamo la croce e ci concediamo una buona mezz’ora in balia di un vento fresco che trascinando le nuvole ci consegna, come in un film, continui fotogrammi diversi del mondo che avevamo attorno. Siamo soli, meravigliosa solitudine, la colonna sonora del vento accompagna un film incantevole di immagini sfuggenti a Sud Est, sul vicino avamposto degli Ernici “poveri”; spero che le foto che ho fatto quasi senza smettere mi restituiscano almeno i ricordi vivi di quei momenti. Verso Nord Est, le nuvole rimanevano compatte, solo a tratti e sempre confondendosi nel grigiore più o meno denso, scoprivano il Gendarme e i suoi contrafforti che precipitano a valle verso Est. Ogni tanto una voce di un gruppo in avvicinamento sale dalla via “normale” della cresta dei Cantari, li sentiamo a tratti, forse il vento porta le loro voci e sono ancora lontani, meglio per noi che riusciamo a goderci un meraviglioso isolamento. Le nuvole si richiudono attorno, il sole sparisce e a forza di star fermi seduti in vetta cominciamo a sentire freddo, forse è il tempo di ritornare sui nostri passi, quando quelle voci che sentivamo diventano volti è il tempo di alzare le tende; un gruppo di adulti che si comportano come bambini, chiasso, si arrampicano sulla croce, sembrano impazziti o presi da qualche frenesia decisamente fuori posto. Un saluto rapido e siamo già sulla via del ritorno, scendo dentro la dolina per qualche foto dettagliata del cippo di confine; proprio sull’orlo del nevaio è nel centro di un piccolo laghetto di scolo, le scritte del 1847 sono perfettamente leggibili, lo stesso per la linea sopra la colonnina che dovrebbe sancire la direzione di confine ma che al dire il vero non mi risulta attendibile (tutti i cippi sono stato divelti alla ricerca del medaglione, è già tanto che non è stato distrutto e che sia stato riposizionato verticale). Risalgo l’alta sponda del nevaio e raggiungo Marina è già lontana, la raggiungo poco prima dello spigolo roccioso. Ora scendiamo a vista, nonostante il cielo si sia ricoperto di nuovo la visibilità è buona, obiettivo il crestone giù in fondo, ma lungo il pendio intercettiamo presto il sentiero. Era come pensavamo, sulla cresta l’orizzonte è magnifico. Scendiamo sul filo di due valli, col Cotento davanti, Filettino giù in basso, appena sulla sinistra poco dietro la nostra posizione la sella e l’altra cresta che scende dal Viglio verso gli Ernici, boschi dai colori intensi che cambiano tonalità a seconda delle nuvole che filtrano il sole, anche tutta la parete del Viglio, aspra e ripida, è scoperta dalle nebbie, sempre bello ma mai come dal Crestone è apparsa così montagna, così bella montagna. Entriamo nel bosco sapendo che ora sarà una scivolata verso il basso, sperando che non lo sia nel vero senso del termine, l’attraversamento è veloce, meno difficoltoso di quanto avevamo messo in preventivo, è decisamente un bosco buono con noi, il cielo si è incupito di nuovo, abbiamo poche occasioni per soffermarci su alcuni dettagli che non siano le possenti radici di alcuni faggi; quando raggiungiamo la palina dell’incrocio dei sentieri ci meravigliamo di essere già li; come dice un amico, in discesa anche i cocomeri vanno bene, evidentemente la pendenza accentuata ci ha messo le ali ai piedi. Dalla palina mancano una quarantina di minuti ad uscire dal bosco, ce ne impieghiamo solo trenta e siamo nelle praterie che anticipano la strada; un ampio giro per evitare un gregge e gli immancabili maremmani e siamo alla macchina. Uno sguardo indietro ed il Viglio è tutto là sopra, le nuvole grigie lo sovrastano e gli danno un tono ancora più austero, appare alto, altissimo, per fortuna la nebbia stamattina non ci ha dato modo di fare valutazioni nefaste su ciò che avevamo da salire. Il Viglio è una montagna magnifica, per questa via forse anche di più.